L’impatto reale su clienti e team

Negli ultimi mesi si è parlato moltissimo di intelligenza artificiale nei servizi, ma quasi sempre in termini di efficienza, automazione o riduzione dei costi. Eppure, osservando i team che lavorano davvero con l’AI, emerge un tema molto più interessante e, soprattutto, più umano: la fiducia.

Durante il mio intervento al Webinar SDN Milan — “Intelligenza artificiale e Service Design: l’impatto reale su clienti e team” — ho parlato di come la fiducia stia diventando una competenza progettuale a tutti gli effetti. Non è più un attributo secondario dell’esperienza, ma una condizione strutturale necessaria per garantire il funzionamento dei team ibridi uomo–AI.


Se ci pensiamo, ogni volta che iniziamo a lavorare con un nuovo sistema di intelligenza artificiale, c’è sempre un momento di “messa alla prova”: non tanto per testarne le capacità, quanto per capire come ragiona, se risponde in modo coerente e se riesce davvero a comprendere il contesto. In questo breve scambio iniziale, quasi impercettibile, cominciamo a costruire un’idea del sistema per valutarne l’affidabilità e per misurare la coerenza. È un istante di scoperta e di verifica, ed è lì che inizia a formarsi la fiducia. Una fiducia che, come designer, dobbiamo necessariamente imparare a progettare.


Nei servizi questa dinamica si amplifica. Ogni volta che un operatore o un cliente interagisce con un assistente virtuale, si crea una micro-situazione di fiducia da curare. Il punto non è più “quanto è intelligente il sistema”, ma “quanto è affidabile il sistema”.


Questo passaggio di prospettiva è rappresentato nel paper “AI in Service Design: A new framework for hybrid human–AI service encounters.” di Mortati, M., Viana, G. M., & Mundstock Freitas, G. (2025), dove vengono descritti quattro modelli di interazione uomo–AI: AI-to-AI, AI-to-Human, Human-to-Human e Human-to-AI.

A new framework for hybrid human–AI service encounters.” di Mortati, M., Viana, G. M., & Mundstock Freitas, G. (2025)
A new framework for hybrid human–AI service encounters.” di Mortati, M., Viana, G. M., & Mundstock Freitas, G. (2025)

Si tratta di modelli che spostano l’attenzione dal design dell’interazione al design della “relazione cognitiva” tra umani e intelligenze. In particolare, i modelli Human-to-AI e AI-to-Human mettono in evidenza la necessità di progettare spazi di fiducia reciproca, dove l’intelligenza artificiale diventa parte integrante del team, e non più soltanto un layer tecnico o un automa di supporto.


La fiducia diventa quindi un parametro di progetto, non un effetto collaterale: un elemento che guida le scelte di design, definisce i confini e regola la collaborazione tra persone e sistemi intelligenti.


In questo scenario, il service designer assume un nuovo ruolo: diventa regista di “simbiosi cognitive”, capace di orchestrare interazioni tra intelligenze diverse — umane, artificiali e organizzative. Progettare fiducia significa definire quanto controllo e quanta autonomia ogni attore deve avere per garantire una collaborazione sostenibile.


Applicare l’AI non significa solo automatizzare i processi: i sistemi intelligenti possono aiutare le organizzazioni ad allineare tecnologia e obiettivi, riducendo i tempi di gestione delle richieste e fornendo risposte precise e coerenti. In questo modo gli utenti percepiscono affidabilità e competenza nel servizio già dal primo contatto, costruendo anche fiducia nel sistema. Gli agenti AI sono in grado di comprendere il contesto delle richieste, fornire informazioni accurate e risposte coerenti in tempi rapidi, trasformando ogni interazione in un momento in cui la fiducia può consolidarsi.


Oltre all’automazione, è possibile sviluppare agenti AI personalizzati, progettati per il contesto specifico in cui operano — ad esempio per supporto didattico, assistenza operativa o consulenza interna. Questi strumenti forniscono informazioni mirate e supporto immediato, semplificando le attività quotidiane e rendendo i processi più efficienti. La loro efficacia dipende dalla qualità dei dati e dall’integrazione nei flussi di lavoro, ma se progettati correttamente diventano veri alleati dei team, migliorando efficienza, coerenza delle interazioni e fiducia nella tecnologia


In questo senso, l’AI non è solo un mezzo di ottimizzazione, ma un supporto strategico per i team, capace di migliorare la qualità del lavoro, la coerenza delle interazioni e di creare un ambiente in cui le persone possano fidarsi della tecnologia e collaborare con essa.


Avere ben chiaro l’obiettivo è essenziale: il service design diventa la bussola per progettare interazioni uomo-AI efficaci, affidabili e sostenibili.


Non è più sufficiente “mettersi nei panni dell’utente”: dobbiamo iniziare a metterci anche nei panni dell’AI, comprenderne i meccanismi, le assunzioni e i limiti. Solo così possiamo progettare interazioni fluide e prive di attrito, in cui la fiducia non è un effetto collaterale del servizio ma una condizione progettuale a tutti gli effetti.


Il futuro del service design, forse, non sarà fatto di servizi più automatizzati, ma di ecosistemi in cui la qualità dell’esperienza nasce dalla capacità di persone e intelligenze di pensare insieme, cooperando in modo trasparente, coerente e reciprocamente comprensibile.

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